Posa tricolore presso Monumento ai Caduti

A seguito del restauro del Monumento ai Caduti sul Lungolago di Suna, il Gruppo Alpini di Suna ha realizzato la posa si un pennone presso il monumento, a cui è seguito, il 7 gennaio 2016, il primo innalzamento del Tricolore.Posa bandiera Suna
In questa occasione l’Orazione ufficiale è stata tenuta dal presidente S.O.M.S. Avv. Mario Agnesina

POSA DEL TRICOLORE PRESSO IL MONUMENTO AI CADUTI DI SUNA
7 GENNAIO 2016
ORAZIONE UFFICIALE DEL PRESIDENTE S.O.M.S. SUNA 1887 AVVOCATO MARIO AGNESINA

 

A distanza di un anno dalla festa per la “tirata a lucido” del Monumento ai Caduti di Suna, si inaugura l’asta del Tricolore, che diviene faro e richiamo al nostro monumento. Ciò grazie al gruppo alpini di Suna, del quale è l’iniziativa, che secondo la tradizione del corpo, è sempre attivo nelle manifestazioni popolari, patriottiche e di solidarietà, ove occorra “rimboccarsi le maniche”.

Un grazie anche al Comune di Verbania per il patrocinio e al suo Sindaco attento e presente nelle varie realtà, anche periferiche. Un plauso va altresì agli insegnati per l’attività preparatoria e agli studenti che ci hanno emozionato con l’esecuzione dell’Inno degli Italiani.

Opportunamente è stata scelta la data del 7 gennaio per la posa del tricolore nel 219° anniversario delle sue origini. Esso ha rappresentato fin dall’inizio il crogiuolo delle idee di libertà e di indipendenza nazionale, conseguenti gli ideali della rivoluzione francese, esportate in tutta Europa da quelle armate ed in Italia con la campagna di Napoleone Bonaparte del 1796-1797. Sulla scelta dei tre colori verde, bianco e rosso, molto si è scritto e tre sono le origini indicate: quella massonica, legata al simbolismo dei colori; quella bolognese, legata alla cospirazione del 1794 di due studenti di quell’università (Luigi Zamboni di Bologna e Gianbattista Rolandis di Asti). Sembra però più accreditata l’ipotesi indicata dal noto studioso del tricolore, Vittorio Fiorini, nella sua origine milanese.

Fu Bonaparte che, nell’autunno del 1796, dispose la costituzione della Legione lombarda e di quella italiana, da affiancare alle truppe francesi e la dotò di stendardo che -. come riferì al Governo di Parigi – il Direttorio – portava i colori bianco, rosso e verde. L’origine meneghina di essi sta nell’utilizzo del bianco e del rosso quali colori della municipalità, croce bianca in campo rosso. Il verde poi era il colore adottato fin dal 1782 per le divise della Guardia cittadina e, trattandosi di Legione combattente, esso appariva appropriato e coerente.

Il tricolore ovviamente si richiamava al tricolore rivoluzionario dei francesi, particolarmente in auge in Italia dopo le vittorie del Bonaparte.

Tale conclusione appare la più logica, se si tiene conto che prima della campagna del 1796 nessun tricolore francese era apparso in Italia, contrariamente all’ampia sua diffusione nel tempo successivo. Inoltre la costituzione della Legione lombarda, con i colori del suo vessillo, risulta dalla comunicazione di Napoleone al Direttorio. Infine nei motivi della scelta dei tre colori per il tricolore italiano si può vedere l’analogia con quella dei colori in Francia nel 1790 – vigendo ancora la monarchia- col bianco dei Borboni, il rosso e il blu anche in questo precedente della municipalità di Parigi.

Di lì a poco anche la Legione italiana dell’Emilia Romagna adottò il tricolore bianco rosso e verde e Giuseppe Compagnoni, rappresentante di Lugo di Romagna al Congresso della istituenda Repubblica cispadana in Reggio Emilia, la propose all’assemblea, che la adottò il 7.1.1797 coi tre colori, peraltro a bande orizzontali.

Esso come simbolo dello stato democratico e repubblicano, venne subito adottato da varie città, tra cui Bergamo, Brescia e la stessa Venezia.

A costituire il tricolore così com’è oggi a bande verticali, fu la Repubblica cisalpina con decreto del maggio 1798. Il tricolore subì modifiche di forma nel 1802, con la Costituzione della Repubblica italiana, divenendo quadrato rosso, con interno rombo bianco, con a sua volta all’interno quadrato verde: quasi a rimarcare il cambiamento da un’epoca decisamente rivoluzionaria. Medesimo emblema mantenne in seguito anche il Regno d’Italia. Caduto Napoleone, il tricolore cessò di sventolare fino al riapparire con i moti rivoluzionari del 1831. Esso verrà ufficializzato da Giuseppe Mazzini, a conferma della sua valenza democratica, quale vessillo della Giovine Italia con scritto da un lato libertà, uguaglianza, umanità e dall’altro unità, indipendenza. Infine, in occasione della prima guerra di indipendenza, il 23 marzo 1848 il re di Sardegna, Carlo Alberto, proclamerà che “lo scudo di Savoia sia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana”. Essa rimase tale fino al referendum con cui nel 1946 il popolo italiano scelse la Repubblica e, priva dello stemma monarchico, è quella attuale così come recepito dalla Costituzione italiana del 1948,   dotata nella versione marinara degli stemmi delle repubbliche marinare di Amalfi, Pisa, Genova e Venezia. In particolare nel vessillo della marina militare vi è in più, rispetto a quello della marina mercantile, la corona con torri e rostri; mentre la spada impugnata dal leone di San Marco sostituisce il libro del IV Vangelo della mercantile.

Il tricolore è simbolo della Nazione in unione all’emblema della Repubblica (lo stellone d’Italia), lo stendardo presidenziale, inaugurato dal Presidente Ciampi, il vittoriano e l’inno nazionale composto nel 1847 da Goffredo Mameli su testo di Domenico Novaro.

A sorreggere e permeare tale complesso di emblemi e a renderli profondamente vitali è, peraltro, la Costituzione Repubblicana del gennaio 1948 che è anche espressione della storia del Risorgimento italiano il quale non si conclude né con l’annessione del Veneto nel 1866, né con il novembre 1918, che vede l’unione di Trento e Trieste alla madrepatria, bensì solo con il 25 aprile 1945 quando l’Italia riacquista l’indipendenza dall’occupante nazista e la libertà dalla dittatura fascista.

La conquista dell’unità nazionale e della democrazia è avvenuta nel tempo attraverso successive sedimentazioni, vedendo protagonisti sia personaggi dai nomi famosi, sia anche un popolo di persone più o meno note, se non anonime, che quotidianamente lungo gli anni hanno operato per la crescita pacifica, democratica e di sviluppo della società italiana, dando il meglio di sé, non esclusa la propria vita.

Di queste ultime fa menzione il nostro Monumento ai Caduti nell’epigrafe dettata dall’artista Mario Tozzi, che, a fronte dei nominativi dei caduti della I guerra mondiale, ricorda:

Eterno nei secoli / risplenda ammonitore / l’olocausto dei sunesi / sul patrio suolo / o in estranee contrade / con l’armi in pugno / caduti nei campi di sterminio / spenti dai plotoni di esecuzione / falciati per l’Italia e per la libertà / 1940-1945

Quale insegnamento concreto si può trarre oggi nell’agire quotidiano per noi e per i nostri giovani? Come si traducono in termini feriali gli ideali della rivoluzione francese, (liberté, egalitè, fraternitè) ovvero gli insegnamenti di Giuseppe Mazzini, la determinazione e la saggezza politica di Cavour, il coraggio di Giuseppe Garibaldi ed anche i messaggi delle lettere dei condannati a morte della Resistenza ed ancorai principi fondamentali e la prima parte della nostra Costituzione Repubblicana?

Se mi è consentito darei qualche traccia ai nostri giovani.

Se la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro (art.1 della Costituzione) ed esso è riconosciuto e tutelato (art. 4), il vostro “lavoro” è studiare bene e responsabilmente per l’oggi e per il domani, per il vostro futuro e per quello della Nazione.

Ancora: la “fraternitè” che sta tra gli ideali della Rivoluzione francese, si traduce oggi in “solidarietà” verso i vostri amici o compagni meno dotati, che non solo non vanno umiliati dal bullismo, ma vanno aiutati a crescere e ad integrarsi.

La “ègalitè” poi si traduce in “confronto”, che significa riconoscimento della pari dignità per l’altro vostro interlocutore, famigliare, amico, compagno di studi, estraneo che sia, ma anche vostra onestà intellettuale nel senso che siate disponibili a verificare le vostre convinzioni ed eventualmente a modificarle, se l’altro vi dovesse convincere.

Per meglio fare ciò “mettetevi- come diceva agli figli Atticus nel film Il buio oltre la siepe – nei panni dell’altro” per una reciproca e fraterna comprensione.

Soprattutto di tale disponibilità abbiamo bisogno nell’attuale momento in cui il nostro tricolore si vede confrontato da due eventi di portata mondiale: essi esistono indipendenti da noi. Che se anche, non volendoli, li rifiutassimo, chiudendoci nel nostro piccolo orticello, essi opererebbero senza di noi e contro di noi.

Mi riferisco alla globalizzazione e al fenomeno migratorio. Sappiamo tutti cosa significhi la prima, già avendola conosciuta, sia pure in termini ridotti, studiando la storia passata dell’Impero romano.

In esso era la globalizzazione per il mondo – quello occidentale e mediterraneo – allora conosciuto. Di fatto correva una sola lingua: il greco; vi una sola organizzazione pubblica ed un diritto per i privati con la relativa lingua ufficiale, giuridica e burocratica: il latino; la cultura greca permeava tutti gli ambienti; l’organizzazione dello Stato di Roma si diramava, lungo le strade consolari, in ogni dove dell’Impero.

I traffici, i commerci, le persone, avevano libertà di movimento e di sbocchi: dal Vallo di Adriano all’Egitto, dalla Spagna alla Anatolia; con i mari sempre più sicuri dai pirati e con grandi

progressi nella civilizzazione di tanti popoli, cui veniva via via riconosciuta la cittadinanza romana.

Se bene intesa e vissuta, come lo fu al tempo dei romani, la globalizzazione porta al progresso ed allo sviluppo anche oggi.

Il fenomeno migratorio attuale vede noi europei non più emigranti, come nei tempi passati ma destinatari della migrazione di moltitudini di persone che fuggono da guerre, persecuzioni, carestie, morte e sottosviluppo.

Per l’Europa, come disse recentemente il lussemburghese Junker, Presidente della Commissione Europea, tale fenomeno può essere una risorsa stante l’invecchiamento della nostra popolazione, oltre che un problema da affrontare con attenzione e coraggio.

Il nostro tricolore, peraltro, non può agire da solo, ma ha bisogno che sia il vessillo europeo, blu con corona di stelle, ad esserne coprotagonista.

Occorre però un Europa più coesa e più federata ad evitare con gli egoismi nazionali la propria involuzione ed il decadimento.

Gli stati nazionali debbono cedere parte dei propri poteri al Governo Europeo, di guisa che la Commissione abbia nel proprio ambito oltre al capo dell’esecutivo, il Ministro degli Esteri europeo, così come il ministro della difesa, quello dell’economia, quello della tutela dell’ambiente.

Le decisioni più importanti vengano assunte non più dal Consiglio degli Stati così come oggi, ma dal Governo europeo.

Al contempo vanno rafforzati i poteri del Parlamento europeo, già oggi eletto a suffragio universale, che rappresenti sempre meglio la popolazione nel suo complesso, così come i semplici cittadini i quali attualmente hanno poca voce, a fronte dei poteri forti dell’Economia e della Finanza. Occorre che il Parlamento sia protagonista negli indirizzi politici, nel controllo, nelle decisioni comunitarie; che favorisca la partecipazione ad evitare superpoteri ad alcuni Paesi ed alla burocrazia europea.

Quanto sopra non solo perché uniti ci si difende meglio nel confronto mondiale, a fronte di colossi quale gli USA, la Cina, i paesi emergenti, ma perché la vecchia Europa ha ancora da dire al mondo una sua parola e ha da portare suo un contributo in tema di pace: (l’Europa si è costruita sulle ceneri e sulle rovine delle due guerre mondiali inizialmente grazie alla volontà di pace dei francesi e dei tedeschi per primi, nemici da sempre, cui hanno aderito subito italiani, belgi, olandesi, lussemburghesi e via via gli altri).

L’Europa ha ancora da dire la propria parola in tema di diritti umani, di diritti delle comunità originarie, dei diritti delle minoranze; lo ha in tema di stato sociale – nei modelli sempre perfezionabili – che offrono ad es. Germania, Francia, Italia, Svezia.

Quella europea è una presenza rilevante nel mondo della cultura, delle arti, della bellezza; lo è in tema della Persona che deve essere protagonista e non anonimo ingranaggio dell’economia, della finanza e dell’organizzazione statuale.

Puntiamo sull’Europa, ma chiediamo di modificarne la struttura in avanti e in meglio ed amiamo il vessillo blu con la corona di stelle dell’Unione Europea , considerandolo nostro e ponendolo sempre accanto al nostro Tricolore.

In occasione delle prossime olimpiadi brasiliane, quando verrà premiato un’atleta europeo, festeggeremo come fosse una vittoria nostra intravvedendo la bandiera europea accanto a quella nazionale.

E quando sul pennone più alto salirà, accompagnato dall’inno di Mameli, il tricolore, festeggeremo un atleta europeo ma altresì saremo orgogliosi e fieri di essere italiani.

Suna, 7 gennaio 2016