Storia della Parrocchia di Suna

STORIA DELLA PARROCCHIA DI SUNA

Notizie storiche a cura di Alberto Fornara

Il nome di Suna compare per la prima volta in una pergamena del 1096 come località dipendente dalla pieve di Intra. Le sue origini risultano tuttavia ben più antiche: lo dimostrano i ritrovamenti di una tomba con corredo e di altri materiali di epoca romana imperiale, avvenuti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo nella zona orientale dell’abitato, in particolare nei pressi dell’attuale via Montebello.

La nascita di fatto della Parrocchia di Suna risale invece al 1234: con un atto datato 4 maggio, il preposito e il Capitolo di San Vittore stabilivano di suddividere il territorio della pieve, rimasto fino a quel momento unitario, in sei porzioni: a capo di ognuna di esse veniva posto un sacerdote o un chierico facente parte del Capitolo stesso, con la responsabilità di amministrarvi i sacramenti. Al preposito Riccardo spettarono la Villa di Pallanza, Suna e Cavandone, con la titolarità della chiesa di Santa Maria.

Quest’ultima compare già in un calendario liturgico, databile alla seconda metà del XII secolo, della Biblioteca Capitolare di San Vittore a Intra: il 17 aprile è ricordato come il giorno della dedicazione, mentre dal punto di vista territoriale è attribuita a Pallanza.  Come vedremo, il suo possesso darà luogo a una lunghissima disputa tra Pallanzesi e Sunesi.

Per la nascita “di diritto” della Parrocchia bisogna attendere fino al 1346.

In considerazione delle comunicazioni non sempre facili con Intra, data la mancanza di ponti sul torrente San Bernardino e la conseguente difficoltà della presenza di un sacerdote nei periodi di piena, con decreto del 2 gennaio di quell’anno il vescovo di Novara, Guglielmo Amidano, accoglieva la richiesta delle comunità interessate e istituiva un titolo parrocchiale indipendente (il primo di tutta la pieve) al servizio delle popolazioni di Suna e della Villa di Pallanza. Il titolare, nominato dallo stesso vescovo, aveva la responsabilità della cura d’anime nelle due località e l’obbligo della residenza in Santa Maria “de Egro” (come allora veniva indicata la chiesa di Madonna di Campagna); i parrocchiani dovevano garantire una dote di 30 lire imperiali per il suo sostentamento.

Al preposito di San Vittore, già titolare di questa porzione di territorio, venivano mantenute le decime e i diritti di sua spettanza, come il diritto di celebrarvi Messa il 25 aprile, giorno di San Marco: ancora alla fine del XIX secolo la processione detta “delle Rogazioni Maggiori” da Intra si dirigeva a Santo Stefano nella Villa di Pallanza e da qui a Madonna di Campagna, con ampia partecipazione di popolo e la presenza delle confraternite. A San Vittore spettava inoltre la celebrazione di una Messa a Suna, per la festa di San Fabiano, e di una in Santo Stefano.

Intanto, il paese di Suna doveva conoscere un periodo di sviluppo economico, destinato a continuare nei secoli successivi: la sua posizione geografica lo aveva fatto diventare un luogo “strategico” per i traffici commerciali con l’Ossola da una parte, l’alto e il basso lago dall’altra. Tra i prodotti di maggiore interesse figuravano la pietra, il legname e, in tempi più recenti, il sale. La pietra, poi, aveva determinato la nascita in loco di un artigianato specializzato: ancora all’inizio del XX secolo il mestiere di scalpellino era molto diffuso. La devozione, tuttora assai viva, per santa Lucia, protettrice della vista, appare quindi tutt’altro che casuale.

All’importanza economica faceva riscontro un ruolo di un certo rilievo dal punto di vista amministrativo: negli Statuti di Intra, Pallanza e Vallintrasca, approvati da Galeazzo Visconti nel 1393, Suna risulta capoluogo di una delle quattro degagne (circoscrizioni civili attestate per la prima volta nel 1341) nelle quali, assieme ai due “borghi” di Intra e di Pallanza, era stato ripartito questo territorio, i cui confini coincidevano allora con quelli della pieve di Intra. Della degagna di Suna, detta anche “di Santa Maria”, facevano parte Cavandone, Bieno, Santino, Rovegro, Cossogno e Ungiasca.

La lettura degli Statuti del 1393 offre utili informazioni anche dal punto di vista religioso: nella premessa al libro I, i santi Vittore, Nicola e Leonardo vengono indicati come protettori dell’intera comunità; il capitolo 50 del libro I, nell’elenco delle festività in cui era prescritto “il divieto per chiunque di lavorare o far lavorare”, prescrive l’obbligo di osservare la festa di San Vittore in tutta la pieve. Il capitolo 38 del libro IV stabilisce invece una ben precisa gerarchia nelle offese al sentimento religioso: la bestemmia o il turpiloquio contro Dio o la Beata Vergine Maria erano puniti con un’ammenda di 3 lire imperiali ogni volta; se indirizzati a un santo o a una santa, la pena scendeva a 20 soldi imperiali.

Tornando all’abitato di Suna, ricordiamo che già da circa due secoli possedeva un proprio edificio religioso, per quanto di ridotte dimensioni: l’oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano, testimoniato per la prima volta nelle Consignationes del 1347 ma databile, sulla base dei caratteri architettonici, alla fine del XII secolo.

La chiesa di Santa Lucia, oggi parrocchiale, risale invece, nella parte più antica, al XVI secolo: nel campanile è leggibile il millesimo 1585.

Un piccolo oratorio, intitolato a San Rocco, era intanto sorto a breve distanza dalla chiesa di Madonna di Campagna, nel corso del XV secolo; venne demolito nel 1879, per lasciare il posto al tracciato dell’attuale viale Azari. Fortunatamente vennero salvati gli affreschi dell’abside, conservati al Museo del Paesaggio.

Novità di rilievo si registrano nella seconda metà del Cinquecento. L’aumento della popolazione aveva reso sempre più difficoltoso l’esercizio della cura d’anime per un solo sacerdote: il vescovo card. Serbelloni (1560-1574) decise quindi l’istituzione di due distinte prebende parrocchiali, una per Suna e l’altra per la Villa di Pallanza, imponendo a entrambi i titolari l’obbligo di residenza nelle rispettive comunità, che avrebbero per altro mantenuto i diritti acquisiti sulla chiesa di Madonna di Campagna.

Quest’ultima stava conoscendo un momento particolarmente felice: rinnovata nella sua struttura architettonica (l’edificio attuale risale agli anni tra il 1519 e il 1527; dell’originaria costruzione dell’XI secolo rimane solo il campanile), progressivamente arricchita all’interno dall’opera di pittori, intagliatori e decoratori di elevato livello, era visitata da un numero sempre più consistente di fedeli, tra i quali, nel 1578, spiccava il cardinale Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano.  Tanta devozione era certamente alimentata dalla fama dell’immagine della Madonna del Latte come apportatrice di grazie: non a caso, allora, la chiesa era nota come “della Beata Vergine dei Miracoli”.

L’importanza del luogo sacro era destinata ad accrescersi ulteriormente nel 1606, quando, in seguito a disposizioni del vescovo Bascapé, veniva ampliato l’edificio poi detto del “Seminario” per l’alloggio del rettore della basilica, del direttore e di venti seminaristi, che qui avrebbero completato la loro formazione religiosa prima del sacerdozio. Il Seminario rimase attivo fino al 1753, quando il vescovo Sanseverino lo unì alla Congregazione degli Oblati dei Santi Gaudenzio e Carlo di Novara.

Intanto, però, avvenivano accese dispute tra le comunità di Suna e di Pallanza per il possesso di Madonna di Campagna (la prima di cui abbiamo notizia risale al 1544): la fruizione in comune, evidentemente, non veniva più accettata né da una parte né dall’altra e i contrasti non erano solo a livello verbale o giuridico.

Già nel 1604 il podestà di Pallanza, Cesare Quarantino, in seguito a deliberazione del Senato di Milano, aveva emesso una “grida” che minacciava severe punizioni a chiunque si recasse, specie se in compagnia, alla chiesa di Madonna di Campagna con armi in aggiunta a una spada, o sostasse all’esterno della chiesa stessa. Nonostante ciò, nei decenni successivi si verificarono, da entrambe le parti, atti di grave violenza, fino alla profanazione di altari e all’interruzione di funzioni religiose, anche in presenza dello stesso vescovo.

Il Seicento, tuttavia, portò anche novità positive dal punto di vista religioso, soprattutto nell’azione pastorale e nelle opere di assistenza. Le disposizioni del Concilio di Trento, evidentemente, davano i loro frutti.

Intanto, con lo stesso vescovo Bascapé, l’intero territorio diocesano era stato riorganizzato con l’istituzione dei Vicariati e, come dimostra anche l’istituzione del Seminario a Madonna di Campagna, si dedicava un’attenzione particolare alla formazione del clero.

Inoltre, la Chiesa si impegnava in un coinvolgimento diretto dei laici nella vita religiosa di ogni comunità: ne è un esempio la nascita delle confraternite.

A Suna ne esistevano tre: nella chiesa di Santa Lucia, nel locale al di sopra della sacrestia, aveva sede la confraternita del Santissimo Sacramento, a Madonna di Campagna quella di Santa Marta; entrambe effettuavano la questua del vino e del grano, come risulta dalla relazione preparatoria alla Visita Pastorale del 1793. Ad esse si aggiungeva la Compagnia della Dottrina Cristiana, che pure aveva sede in Santa Lucia: nel medesimo documento viene definita “così antica, che non consta del tempo dell’errezione”. Sappiamo invece che la Confraternita del Santissimo Sacramento esisteva già nel 1590: quando, il 4 agosto di quell’anno, il vescovo Speciano visitò Santa Lucia, ancora semplice “oratorium”, vide la lampada mantenuta accesa a spese dei confratelli davanti al tabernacolo che custodiva le ostie consacrate.

Ricordiamo inoltre che i confratelli del Santissimo Sacramento portavano un abito blu con mantellina rossa, quelli di Santa Marta un abito bianco; la loro partecipazione alla festa del Corpus Domini si protrasse fino alla metà degli anni Settanta del XX secolo.

Altri segni di una rinnovata sensibilità verso le opere parrocchiali sono riconoscibili nelle numerose donazioni effettuate a vario titolo, da religiosi e da laici, a favore del sostentamento del clero, della manutenzione degli edifici di culto, oppure in aiuto alle persone in difficoltà.

Possiamo ricordare, a titolo di esempio, il testamento del 13 marzo 1623, con il quale il nobile Giovanni Pietro Baldini istituiva in Santa Lucia una cappellania laicale; oppure quello del 1626 di Domenico Zucchinetti, canonico di Intra, che stabiliva la rendita annua perpetua di lire 76 da assegnarsi in dote a ragazze povere di provata moralità e  istituiva, presso l’oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano, un beneficio intitolato alla Madonna di Loreto e a San Michele Arcangelo, che tra le sue finalità prevedeva l’insegnamento della dottrina.

Tra il XVIII e il XIX secolo, la devozione popolare determinò inoltre la nascita di due nuovi oratori.

Al 21 agosto 1700 risale la posa della prima pietra di quello della Natività di Maria (meglio noto come “Chiesuola”), il cui altare venne benedetto l’8 settembre 1706 (nello stesso giorno si celebrò la prima Messa). Fino all’inizio del XX secolo era consuetudine il 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, impartirvi la benedizione ai quadrupedi, che veniva ripetuta tre giorni dopo a San Fabiano.

L’altro oratorio, intitolato alla Santa Croce, venne edificato nel 1890 sulla cima del Monterosso, al posto di una cappelletta dove, secondo una consolidata tradizione, avrebbe vissuto un eremita di cui si perse ogni notizia verso il 1820. Da questo misterioso personaggio derivò il nome di “Pellegrino” dato alla località. Vi si giungeva in processione il 3 maggio, festa dell’Invenzione della Santa Croce.

Un avvenimento particolarmente grave funestò la comunità sunese nel 1764: un’epidemia di peste, che fece strage tra la popolazione. Nemmeno il parroco riuscì a salvarsi: di conseguenza rimase sospesa la registrazione dei decessi.

Nella località denominata Sagré vennero scavate due grandi fosse comuni, presso le quali si posero altrettante colonne di pietra. Una di esse si trova tuttora al centro del cimitero.

Ritornando alla vita quotidiana, utili indicazioni sulla Parrocchia emergono, come si è accennato in precedenza, dalla lettura degli atti delle Visite pastorali e dei relativi documenti preparatori: tra questi meritano un’attenzione particolare le relazioni che il parroco era tenuto a compilare prima di ogni visita, seguendo uno schema ben preciso.

Dalla già citata relazione del 1793 risulta che, insieme al parroco, don Girolamo Borella, prestavano servizio un altro sacerdote, don Martino Rattazzi, e due chierici, Leonardo Poroli e Giovanni Battista De Magistris, rispettivamente di 22 e 16 anni.  Nel territorio parrocchiale si contavano allora 221 famiglie e 1037 “anime”.

Le spese di manutenzione delle campane e delle funi dei campanili di Santa Maria di Campagna e di Santa Lucia erano a carico della comunità di Suna; per quanto riguardava San Fabiano e la Natività, la sostituzione delle funi e altre riparazioni spettavano agli oratori stessi, mentre per le campane il parroco ammetteva che “se si rompessero non poso [sic] assicurarmi a chi s’aspetti”.

Ricordiamo che le chiese maggiori e gli oratori, qui come altrove, beneficiavano di rendite costituite in genere da beni immobili e da legati testamentari, oltre a una propria amministrazione assicurata da fabbriceri, che consegnavano periodici rendiconti al parroco. I redditi servivano, come si è visto, per la manutenzione e per il miglioramento degli edifici di culto e degli arredi sacri, ai quali potevano contribuire anche le confraternite (in primo luogo, i loro priori).

Il cimitero si trovava ancora a Madonna di Campagna (quello attuale risale al 1834), ma veniva utilizzato solo quando i sepolcri esistenti all’interno della chiesa e l’ossario (tuttora esistente) all’esterno risultassero insufficienti. Il suo aspetto non doveva risultare dei migliori: “non ha in mezzo la croce”, nel muro di cinta “ha un apertura in guisa di porta senza uscio” e, per concludere, “non si sa se sia stato benedetto”.

Molto elevato era il numero delle processioni, circa 40, che accompagnavano le solennità religiose in ogni momento dell’anno: presumibilmente, per la gran parte si dovevano svolgere all’interno degli edifici sacri o nelle loro immediate adiacenze. Nelle festività più importanti era invece previsto un tragitto che si snodava per le vie del paese o nel territorio circostante (come le già citate Rogazioni): il Corpus Domini, quando era tradizione l’“apparato delle strade”; per i Santi Fabiano e Sebastiano (20 gennaio) e per Sant’Agata (5 febbraio); il Giovedì Santo: da Santa Lucia a Madonna di Campagna “per la visita al Santo Sepolcro”; a Santa Croce (3 maggio) “per affiggere le croci di cera benedetta” e l’8 maggio “per affiggere in altri luoghi dette Croce [sic]”; per l’Ascensione: da Santa Lucia a San Rocco e quindi a Madonna di Campagna, dove si celebravano i vespri conclusi dalla benedizione; per l’Assunta: da Madonna di Campagna a San Rocco (dove era inoltre prevista una “stazione” in tutte le processioni delle Rogazioni).

Inoltre: il giorno delle Ceneri avveniva la distribuzione delle candele o delle palme, il Sabato Santo la benedizione delle case. Era pure consuetudine benedire le donne dopo il parto.

Il battesimo veniva amministrato il primo o il secondo giorno dopo la nascita. Le donne, infine, non potevano comunicarsi ai gradini dell’altare e potevano ricevere la Penitenza solo nel confessionale, mai in sacrestia o nel coro.

Nella relazione preparatoria alla Visita pastorale del 1849, il parroco, don Filippo Sacchi, dopo aver dato qualche indicazione sulla popolazione (che era salita a 285 famiglie e 1412 persone), annota che per la festa di Santa Lucia “vi ha molto concorso di popolo tenendosi in questo luogo anche una pubblica fiera”.

A tale proposito, ricordiamo che la devozione per la martire siracusana ha sicuramente un’origine antica. Ne abbiamo una testimonianza indiretta già nel 1590. Tra gli ordini impartiti dal vescovo Speciano dopo la Visita pastorale alla chiesa di Santa Lucia, figura quello di tener chiuse le finestre ai lati della porta durante le Messe, per evitare che qualcuno seguisse la funzione dall’esterno: fa però eccezione la solennità del 13 dicembre, per il “concorso” di fedeli che si suppone quindi molto elevato.

Merita poi un cenno, sempre riguardo alle feste religiose,  quanto scrive lo storico Quintino Rossi, autore nel 1910 della prima monografia dedicata a Suna.

Nella prima metà del XIX secolo le feste principali erano annunciate, alla vigilia, da un prolungato suono di campane, accompagnato da una serie di falò sulla riva del lago e da lanci di razzi. Con particolare solennità si celebrava il Corpus Domini: in tale occasione era ritenuto un obbligo morale addobbare l’esterno di ogni casa con lenzuola, coperte, scialli e quanto di meglio si conservava nei guardaroba domestici. Lungo il percorso venivano inoltre allestiti una serie di altari provvisori, davanti ai quali il parroco si fermava per la benedizione. L’amministrazione municipale partecipava al completo, prendendo posizione subito dopo il baldacchino; quando il Santissimo giungeva davanti alla sede comunale, era salutato dagli spari a salve degli armigeri, cui seguiva la benedizione del lago.

Durante la celebrazione dei vespri, negozi e pubblici esercizi dovevano rimanere chiusi: il console della comunità era incaricato di vigilare sull’osservanza di tale obbligo.

Nello stesso secolo va segnalata la soluzione della contesa per il possesso di Madonna di Campagna che, con decreto dell’11 maggio 1822 del vescovo di Novara, card. Morozzo, diventava parrocchiale esclusiva di Suna. Alla Villa di Pallanza era concesso di tenervi le processioni del Giovedì Santo e dell’Assunta, mentre la popolazione di Intra conservava il diritto della processione di San Marco e di intitolare un canonicato a Santa Maria Assunta. I Pallanzesi, comunque, non considerarono chiusa la questione e, nei decenni successivi, reclamarono più volte la proprietà della chiesa.

Continuava intanto la serie delle pie donazioni: ricordiamo un legato del 1826 a favore di San Fabiano, con l’obbligo di cantar Messa e Vespri e impartire la benedizione per la festa dei santi Fabiano e Sebastiano; la fondazione della Congregazione di Carità, che avrebbe ricevuto in seguito numerose oblazioni, con testamento di don Celestino Magistris (morto nel 1828), già frate dei Minori Osservanti con il nome di padre Vittorio; l’istituzione nel 1830, da parte di Francesco Rossi detto Sciurùn, della Cappellania laicale di San Francesco.

La figura più insigne di benefattore rimase però quella dell’ing. Antonio Rossi (1822-1887), che dopo le numerose elargizioni assegnate in vita stabiliva, per via testamentaria, di lasciare le sue cospicue sostanze alla comunità sunese attraverso le sue istituzioni civili e religiose. Tra le varie realizzazioni rese possibili dalla sua generosità ricordiamo: il trasferimento della casa parrocchiale (1889); la dotazione di un nuovo organo a Madonna di Campagna (1890); la nascita della Pia Istituzione Rossi (1890), costituita in ente morale nel 1894, con finalità di assistenza e di istruzione (ad esempio, nel 1900 venne nominato un medico per le visite gratuite a 155 famiglie povere); la costruzione, nel 1897, del nuovo edificio dell’Asilo d’Infanzia; una Biblioteca pubblica (1911).

Intanto, però, il mutato contesto economico e sociale, conseguente al moltiplicarsi degli impianti industriali, aveva determinato la nascita di nuove forme di solidarietà: nel 1877 era nata la Società Operaia di Mutuo Soccorso maschile, tuttora esistente; altre due sarebbero seguite nel 1908: una, femminile, di ispirazione cattolica sotto la protezione della Madonna delle Grazie; una seconda maschile, denominata “La Fratellanza”.

Nel corso del XIX secolo e all’inizio del XX, poi, anche Suna venne attraversata da importanti infrastrutture, come la Strada nazionale Pallanza – Domodossola, oggi via Troubetzkoy (iniziata nel 1822, vi giunse nel 1834), e la tramvia Omegna – Pallanza (1909), cui si aggiungevano la costruzione del Porto Grande (1855) e dell’imbarcadero per l’approdo dei battelli a vapore (1878).

Il paese si dotava inoltre di nuovi servizi: una scuola comunale maschile (1822) e una femminile (1852); la residenza di un notaio (1837) e l’apertura di una farmacia (1858); l’illuminazione a petrolio (1875) e poi elettrica (1902); il già citato Asilo d’Infanzia (1876); un ufficio postale (1882) e telegrafico (1896); le prime condutture di acqua potabile (1887); un peso pubblico (1892); una levatrice per i poveri (1900); il Corpo dei Pompieri e il Patronato scolastico (1909); il telefono (1910); l’erogazione del gas metano (1911); il Cinematografo parrocchiale (1913); un ricovero per anziani poveri e inabili al lavoro (1917).

Nel 1892, però, si registrava anche una disastrosa epidemia di fillossera, che metteva in ginocchio l’agricoltura locale. Ne conseguì una vera a propria rivolta contro gli ispettori governativi (denominati in dialetto sapìtt) incaricati dell’estirpazione dei filari di vite.

Negli stessi anni, Suna era meta frequente di una personalità di spicco della cultura cattolica: il giurista Contardo Ferrini, nato nel 1859, che proprio a Suna si spense il 17 ottobre 1902. Il legame affettivo con il paese era talmente forte che qui volle essere sepolto; il suo corpo riposò nella cappella di famiglia fino al 1942, quando, nonostante la decisa opposizione della popolazione locale, venne traslato nella cripta dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano per volontà dell’allora rettore, padre Agostino Gemelli. Dopo la beatificazione del Ferrini, avvenuta nel 1947, il suo cuore venne restituito alla Parrocchia di Suna: da allora è conservato nella chiesa di Santa Lucia, nella cappella di destra della navata, che nell’occasione venne appunto intitolata al Beato Contardo.

Polemiche ancora più accese seguirono dieci anni dopo. In considerazione della trasformazione urbanistica della zona, che si era densamente popolata dopo l’impianto, nel 1929, dello stabilimento Rhodiaceta (poi Rhodiatoce e quindi Montefibre), con decreto del 25 dicembre 1957, entrato in vigore il 1° gennaio successivo, il vescovo Gremigni istituiva la Parrocchia di Madonna di Campagna, la cui chiesa veniva quindi tolta alla comunità sunese. Da allora, Santa Lucia diventò chiesa parrocchiale a tutti gli effetti.

BIBLIOGRAFIA

  • De Vit, Il lago Maggiore Stresa e le isole borromee. Notizie storiche, Prato, 1875-1880, vol. I, pp. 486-488; vol. II, pp. 515-532 (testo di C. Muzio); vol. III, pp. 208-209
  • Rossi, Memorie ai Sunesi, Intra, 1902
  • Rossi, Comune di Suna. Guida Monografica del paese e suo territorio, Pallanza, 1910, pp.5-6, 13-14, 20-40, 52-55, 63-65, 68
  • Rossi, Suna. Ricordi Storici, Pallanza, 1924, pp. 9, 11-12, 14-18, 20-21
  • Tea, Storia, in Madonna di Campagna, Pallanza, Verbania, Rhodiatoce, 1961, pp. 9-24
  • Andenna, Unità e divisione territoriale in una pieve di valle: Intra, Pallanza e la Vallintrasca dall’XI al XIV secolo, in M. L. Gavazzoli Tomea (a cura di), Novara e la sua terra nei secoli XI e XII. Storia documenti architettura, Milano, Silvana, 1980, pp.286-287, 292-295
  • Frigerio – C. Mariani – P. G. Pisoni, Un calendario del XII secolo nella Biblioteca Capitolare di Intra (cod. 16), in “Verbanus”, 4 (1983), p. 131
  • G. Pisoni – C. Mariani, Verbania: premesse medievali, Intra, Alberti, 1987, pp. 235-254, 320-321
  • Invernizzi, Il Beato Contardo Ferrini 1859-1902 […], Casale Monferrato, Piemme, 2002